Valeria
Patrice S.
Il cielo si scopriva bugiardo all’orizzonte.
Il mare grigio rabbioso, masticava la spiaggia.
Battendo i denti, il kway verde sopra la maglietta, guardavo Valeria.
I suoi occhi strizzati si perdevano verso un punto lontano.
Avevamo lasciato le bici appoggiate alla cinta della pineta.
Le capanne di legno fatte da rami spezzati e secchi, un’architettura fantasma macchiava la rena.
Eravamo soli quel mattino tardi.
Non volevo stringerle la mano.
Guardavo la sua nuca e scuotevo la testa, lei indossava un maglione di cotone grezzo.
Sopra un grazioso vestito a fiori.
Non riuscivo ad aprire la bocca, le parole erano stanche seguivo il sentiero delle sue piccole orme.
Ehi cosa hai?Il suo sorriso di coglieva di sorpresa, giocava a stupirmi quando mi trovava troppo assorto nei pensieri.
Cosa ho?
Sentivo gli occhi lucidi, mi imponevo un coraggio forzato.
Camminavamo uno dietro l’altra, incespicando a volte affiancandoci.Le sfioravo, il braccio riconoscendone la pelle, che non sentivo più mia.Lei cominciò canticchiare la nostra canzone, cercando di farmi danzare.Mi sentivo sgraziato come sempre, un peso che mi inchiodava terra.
Lei smagrita, leggera come una piuma, un burattino senza fili, così delicata.
Devi pensare al nostro amore, devi pensare a te.
Tossendo, la voce pastosa.
Sentivo sciogliere sul mio viso un calore forte.
Tu sei il mio amore, tu sei la mia donna, cosa farò con me?! Cosa?!
Singhiozzando.No, no scuotendo la testa.È la nostra scelta, lo sai, ti amerò sempre, devo andare, amore.Le tiravo la manica del maglione allungandola.Scoprii il suo tremore.Mi strattonò, ora basta!Caddi n ginocchio, lasciandola.No, non deve essere così.
Con un suono che assomigliava la mia voce.Rialzai la testa.L’acqua le arrivava già alle caviglie.La ghiaia si rovesciava coprendo con il rumore di sibilo del vento.Impietrito, a gattoni, la guardavo farsi spazio a fatica fra le onde.Valeria, Valeria…Valeria.Il grido si trasformava in preghiera. Girò la testa e con l’indice sulle labbra disegnò un silenzio.La guardavo, con le dita semichiuse sul viso come un bambino terrorizzato, lasciarsi andare sulla schiena, chiudere gli occhi, aprire le braccia. I cavalloni la spostavano come un soffio.Un giocattolo dimenticato.Il grido dei gabbiani svuotava il mio silenzio, non sapevo guardare.Chiusi gli occhi aspettando il buio, aspettando di vederla sparire.