Racconti – In questa vita infame

16 giugno 2016

In questa vita infame

Marco C.

Un brutale sferragliare di chiavi apre il cancello del cortile. Sono le tre, forza tutti in cella.
Bonfio non ha nessuna voglia di salire.
Da un paio di settimane ha un compagno che passa la giornata a letto, finestra chiusa sigillata nonostante la stagione, odore di carogna di un cane.
In attesa della guardia che gli apra la porta, come al solito avrà due alternative.
Sopportarlo o scannarsi un’altra volta.
Non ha nemmeno voglia di guardare dentro.
Ma percepisce una luce diversa dal solito, c’è perfino la finestra aperta.
Alza gli occhi e no, non è possibile. No, si rifiuta di crederci. Molise.
“Appuntato, non apra nemmeno. Mi chiuda in doccia se vuole, ma in cella non ci entro, se no con
questo finisce male”.
“Bonfio, che è un albergo questo? Forza dentro, lunedì se vuoi parli con l’ispettore”.
E sbam, gli chiude la porta alle spalle.
“Oh, ma guarda chi c’è”.
Quel ghigno, quella faccia da cazzo, l’ultima sulla terra che avrebbe voluto trovarsi davanti. Molise.
Chiuso con lui nei suoi se metri quadrati calpestabili di cella, era mille volte meglio la carogna di cane.
“Molise che sorpresa. Che ti è successo?”
Ma soffocato dall’imbarazzo non riesce nemmeno a guardarlo negli occhi.
“Che fai, è così che saluti un vecchio amico?”
E giù un pugno cattivissimo in pieno stomaco.
“O forse anche tu stai pensando ai mille che ancora mi devi?”
Piegato in due dal dolore Bonfio prova ad aprire bocca, ma la voce non gli esce. Un altro calcio nel fianco lo stende sul pavimento.
“Molise abbi pietà, è stata una partita maledetta, non dovevo nemmeno iniziarla. Anche tu hai perso diecimila con Stamenchia, ricordi?”
“Si ma Stamenchia è schiattato, grazie a dio, non lo sapevi? Bucato dagli M12 degli sbirri a porta
Venezia. Mi dispiace Bonfio, ma adesso per te sono cazzi. Dai alzati e fammi il letto.”
Rivoli caldi gli colano dalle tempie mentre annoda gli angoli del lenzuolo al lurido materasso di
gommapiuma, che fa sudare solo a guardarlo.
“Che fai Bonfio? Il letto sotto da oggi è il mio, a crepare di sopra ci stai tu. Forza da capo. E veloce,
che ho avuto una brutta giornata”.
Alla fine Bonfio si arrampica sul suo letto, ma come prevedeva Molise non lo molla.
“Apri il frigo, vediamo come sei fornito. Bene bene, preparami una bella carbonara al dente, che ho fame. Infilati quel grembiulino azzurro da frocetto, mentre mi servi. E fatti una cuffietta, non voglio i tuoi merdosi capelli nel piatto”.
Scolata la pasta Molise si abboffa come un maiale, mentre Bonfio sta dritto in piedi in attesa di istruzioni.
“Perfetto, così mi piaci frocetto. E adesso sparisci, via, sul tuo fetido letto. Non ti voglio più vedere, ti chiamo io quando ho bisogno. Ah,e che non ti passi mai per la zucca di andare a piangere dall’ispettore, o di cambiare cella. Quest’estate ce la passiamo insieme, tu ed io, da vecchi amici”.
Bonfio si trascina di sopra. Una costola ancora gli bestemmia dal dolore, probabilmente è andata.
Fissa il soffitto.
“Posso sempre appendermi alla grata”.
Quindici giorni dopo non si è ancora appeso, il caldo,come ogni estate, si è fatto micidiale. Alle dieci di mattina Bonfio risale lento dal cortile. C’e’ da lustrare per bene la cella, e poi cucunare per Molise. Dopo, forse ci scapperà la doccia, se non è passato l’orario.
Purtroppo le cose possono andare anche peggio. Arrivato davanti alla cella vede una branda
contro il muro.
“Fantastico, adesso siamo anche in tre”.
Ma in quella vede Molise spuntare da dietro la porta del bagno. Indossa cuffietta e grembiulino azzurro da frocetto, e con il tovagliolo piegato a cavallo del gomito porge con grazia caffè brioche e giornale sul tavolo, dove è comodamente spaparanzato Stamenchia, che non ha per niente l’aria di uno bucato dagli M12 degli sbirri a porta Venezia.
Ancora in attesa in corridoio, due lacrime di gioia scivolano sul viso di Bonfio.
In questa vita infame per appendersi alla grata c’è sempre tempo.