#Razzismo e violenza, Culture Wars, Kirk e l’Italia

Sono settimane buie.

Il mondo parla dell’omicidio di Kirk. Chi critica la sua figura viene tacciato di inneggiare alla violenza. Intanto a Londra sabato in più di 100.000 hanno sfilato con i simboli della Union Jack, Maga, “anti immigrazione”.

Angelo Boccato, giornalista freelance con base a Londra ed esperto su questi temi, racconta cosa pensa delle cosiddette culture Wars made di USA e di quello che sta succedendo tra Usa, Uk e Italia.

E la violenza è ovunque, si abbatte sulla popolazione palestinese con le politiche genocidarie di Israele e si riproduce nei dibattiti televisivi in cui, davanti al dolore per le decine di migliaia di bambini uccisi, qualcuno chiede provocatoriamente “definisci bambino”. La docente, scrittrice e poeta Rahma Nur ha risposto chiedendo proprio in una delle sue classi “che cos’è un bambino?” e pubblichiamo le toccanti risposte.

E nei giorni del ricordo dell’uccisione razzista di Willy Monteiro a Fermo, Adil Mauro riflette sulla violenza e le uccisioni razziali in Italia di ieri e di oggi, in un articolo importante uscito sul manifesto e che abbiamo scelto di pubblicare qui per continuare a tenere viva l’attenzione su questo tema.

E la violenza razziale è quella che promuovono influencer di aree neofasciste, come quella che questa settimana ha attaccato la candidata in Toscana Antonella Bundu, di cui pubblichiamo l’ottima e ironica risposta, ferma sulla necessità di togliere agibilità mediatica a coloro che “fanno apertamente elogi alla Decima MAS, usano simboli e slogan del ventennio e diffondono teorie complottiste che alimentano odio, paura e tanta ignoranza.”

Il razzismo in Italia è strutturale. E come ci ricordano gli esiti dell’ultimo referendum sulla cittadinanza, il lavoro culturale è urgente se vogliamo ancora conservare degli anticorpi.

Sul fronte editoriale, questa settimana la casa editrice Capovolte ha pubblicato Controverse. Scrivere in diaspora, poetiche del divenire, una nuova opera collettiva curata da Livia Apa e Ubah Cristina Ali Farah.

Buon ascolto e lettura.

Il Razzismo è una brutta storia.

Angelo Boccato: Kirk e le Culture Wars

Angelo Boccato, giornalista freelance e podcaster con base a Londra ed esperto su questi temi, racconta di Culture Wars e dei loro meccanismi tra Usa, Uk e Italia.

Rahma Nur: “definisci bambino”

La docente, scrittrice e poeta Rahma Nur ha risposto chiedendo proprio in una delle sue classi “che cos’è un bambino?”

In Agorà stamattina ho chiesto ai bambini “Cos’è un bambino?” Le loro risposte:

– una persona che non ha mezza età e ha bisogno dell’adulto;

– un essere umano che ha pochi anni e ha bisogno di aiuto;

– è un essere vivente;

– è un essere umano più piccolo e più giovane dell’adulto;

– un bambino deve essere protetto!

Ecco, i bambini e le bambine sanno definire un bambino, un adulto ne ha paura, l’innocenza, la fragilità, la spontaneità lo spaventa.

Poi un altro ha aggiunto: gli adulti sono bambini che sono invecchiati…!

Grazie a Rahma e a chi affronta il senso di impotenza insieme alle proprie studentesse e studenti, per non fare morire la speranza nell’umanità. Diceva lo scrittore e politico palestinese in Italia Alì Rashid: “all’apice della tragedia, avere speranza è un obbligo morale”.

Rahma Nur è nata a Mogadiscio, naturalizzata italiana. Donna, Nera e (dis)-abile, insegna nella scuola Primaria statale da molti anni. Scrive poesie e racconti. Nel 2012 ha vinto il Premio Speciale Rotary Club Torino Mole Antonelliana del VII Concorso letterario nazionale Lingua Madre con “Volevo essere Miss Italia”, pubblicato in Lingua Madre Duemila dodici – Racconti di donne straniere in Italia (Ed. SEB27).

Con il racconto “Mamma Somalia” si è aggiudicata il primo premio del concorso “Scrivere Altrove” Amici di Nuto di Cuneo. Diversi suoi racconti e poesie sono stati selezionati e pubblicati nelle antologie Lingua Madre e in varie riviste letterarie come Parole per Strada, Crocevia, El Ghibli, Formafluens, La Macchina Sognante. Per Capovolte ha pubblicato la raccolta di poesie Il grido e il sussurro. Sul tema della Pace ha scritto la poesia pubblicata da Erikson Giornata della Pace e di seguito anche la sua poesia del 2023 dedicata a Willy Monteiro.

Adil Mauro

Abba e gli altri, il lungo elenco degli omicidi razziali in Italia – l’articolo di Adil Mauro per Il Manifesto e per Il Razzismo è una brutta storia

Ucciso a sprangate perché nero. Il 14 settembre 2008 Abdul William Guiebre, “Abba” per gli amici, moriva a seguito di un’aggressione razzista a Milano. Aveva solo 19 anni.

Nato e cresciuto in Italia da genitori originari del Burkina Faso, Guiebre sta tornando a casa con alcuni amici dopo una serata in discoteca. Il gruppo si ferma in un bar per prendere delle brioche; ne segue un diverbio con i gestori, padre e figlio, che accusano i ragazzi di un furto di pochi euro di merce. Una scatola di biscotti.

I due inseguono Guiebre e i suoi amici con una spranga di ferro. Raggiunto in strada, il giovane viene insultato con epiteti razzisti e colpito ripetutamente. Abba muore poco dopo in ospedale per le lesioni riportate.

IN PRIMO GRADO, nel 2010, Fausto Cristofoli e il figlio Daniele vengono condannati a 19 anni di reclusione per omicidio volontario aggravato da futili motivi. L’anno successivo la Corte riduce in appello la pena a 16 anni per entrambi, ritenendo non provata la finalità di discriminazione razziale contestata inizialmente dall’accusa. La Cassazione, nel 2013, conferma la condanna.

Se la sua storia non è stata dimenticata è anche grazie a iniziative come il festival antirazzista Abba Vive giunto quest’anno alla sua diciassettesima edizione. Spetta quindi a familiari, amici, o nei casi più conosciuti, ad associazioni e centri sociali, tenere vivo il ricordo delle vittime spesso senza volto del razzismo sistemico che colpisce l’Italia. La storia di Abba non è infatti isolata.

POCHI GIORNI DOPO L’OMICIDIO di Guiebre, il 18 settembre 2008, a Castel Volturno sette killer della camorra uccidono con 120 proiettili sei persone nere: Kwadwo Owusu Wiafe, Ibrahim Alhaji, Karim Yakubu, Kuame Antwi Julius Francis, Justice Sonny Abu, Eric Affun Yeboah. La testimonianza dell’unico sopravvissuto alla strage, Joseph Ayimbora, si rivela fondamentale per la ricostruzione degli eventi e l’identificazione degli assassini. In primo grado, appello e Cassazione viene sempre confermata l’aggravante dell’odio razziale.

DIECI ANNI DOPO, il 3 febbraio 2018, il raid razzista contro persone nere del suprematista bianco Luca Traini a Macerata. I nomi delle persone ferite – Wilson Kofi Omagbon, Jennifer Otiotio, Gideon Azeke, Mahamadou Toure, Omar Fadera, Festus Omagbon – trovano a fatica spazio sulle pagine dei principali quotidiani impegnati a versare fiumi di inchiostro per il “lupo solitario” Traini, candidato della Lega Nord alle amministrative del 2017 e autoproclamatosi «vendicatore» di Pamela Mastropietro, la diciottenne uccisa il 30 gennaio 2018 a Macerata da un uomo di nazionalità nigeriana.

QUALCHE SETTIMANA PIÙ TARDI a Firenze l’omicidio di Idy Diene, cittadino senegalese ucciso il 5 marzo 2018 sul ponte Vespucci a colpi di pistola da Roberto Pirrone «perché era la prima persona che passava». L’assassino ha sempre sostenuto di avere scelto la sua vittima a caso, dopo essere uscito di casa con l’intenzione di togliersi la vita. Ma più di una telecamera di sorveglianza smentisce la sua versione. Pirrone temporeggia a lungo prima di estrarre l’arma e fare fuoco contro Idy, un uomo molto conosciuto nella comunità senegalese di Firenze e legato alle vittime di un’altra strage razzista, i connazionali Samb Modou e Mor Diop assassinati dal neofascista Gianluca Casseri il 13 dicembre 2011.

Ma ad accendere i riflettori mediatici sulle vittime del razzismo in Italia sono state le proteste globali per l’omicidio di George Floyd a Minneapolis, negli Stati Uniti. E durante l’estate del 2020 riprendono a circolare nomi e storie colpevolmente relegate ai margini della cronaca nera. Vecchie notizie dimenticate come quella di Ahmed Ali Giama, rifugiato somalo senza dimora bruciato vivo dietro piazza Navona nel maggio del 1979 da alcuni giovani.

Una vicenda drammaticamente simile a quella di Frederick Akwasi Adofo, senza dimora originario del Ghana picchiato a morte da due minorenni nella notte tra il 18 e il 19 giugno 2023 a Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli.

STILARE UN ELENCO esaustivo degli omicidi razzisti avvenuti nel nostro Paese è impossibile, ma uno dei più efferati rimane senz’altro quello di Giacomo Valent, sedicenne italo-somalo ucciso il 9 luglio del 1985 a Udine da due compagni di scuola. Assassinato con 63 coltellate per motivi futili e abbietti, ma senza premeditazione, secondo i giudici che al termine del processo di primo grado condannano l’autore materiale a quindici anni e il complice a dieci. Pene inasprite in appello (rispettivamente diciassette e dieci anni e sei mesi) e confermate in Cassazione. La madre, devastata dal dolore e già in precarie condizioni di salute, muore un anno dopo il massacro del figlio. «Volevamo soltanto dargli una lezione», dice l’assassino appena quindicenne. «Un giovane che non si vergognava di uscire di casa con la camicia nera con distintivo fascista e anelli con la svastica al dito», riportano le cronache del tempo.

In un articolo del 2020 sull’Italia e i suoi George Floyd la docente universitaria Angelica Pesarini afferma che «è più facile solidarizzare, mostrare empatia, versare lacrime, concedere il beneficio del dubbio ad un uomo nero ammazzato a migliaia di km piuttosto che ad un uomo nero in Italia».

Cinque anni dopo la riflessione di Pesarini è ancora attuale. Gli omicidi razzisti vengono spesso raccontati come casi di cronaca slegati l’uno dall’altro. La natura strutturale del razzismo per molti è una «forzatura ideologica» da rigettare con veemenza. Nonostante la violenza – istituzionale e individuale – agita sui corpi neri sia reale, una significativa parte del Paese preferisce ancora cercare rifugio nel mito autoassolutorio degli «italiani bravi gente».

A Willy – Peosia di Rahma Nur

A Willy

Chissà tua mamma
quanto dolore ha seppellito nel cuore
quanto è immenso il vuoto di te
quanti tuoi sorrisi conserva dentro di sé
quante lacrime ha pianto e quante altre ha messo da parte.
Willy, quanti amici ti cercano ancora
quante pazzie, risate e amore
restavano da condividere insieme.
Willy, quanti pochi anni hai vissuto
quanto breve è stato il tuo passaggio
e repentino il tuo distacco
da questa terra di viltà e abominio.
Willy, vent’anni
e un’idea di te uomo del futuro
che si può solo sognare.
Willy, il perdono è delle grandi persone
e la rabbia: è dei giusti o dei vendicatori?
Willy, è rimasto il tuo sorriso ad illuminare tutto
e quella violenza che ha oscurato la tua giovinezza
e apre il futuro a chi ha spento quella luce.

È questa la giustizia umana?
Esiste quella divina?
(16/07/2023)

Antonella Bundu: In foto un’italiana che gentilmente offre una banana a quellə che hanno imparato a tirargliela.

Vedo che Francesca Totolo, attivista dell’estrema destra e collaboratrice del giornale neofascista Il Primato Nazionale – ha deciso di dedicarmi un tweet.

Lei è una di quelle che la butta lì, che “la tocca piano”. Una che esce spesso con concetti violenti, calcolati con attenzione per non far scattare una querela. Ma il messaggio è chiaro. Sempre.

Apre il suo tweet su di me, commentando il video della mia partecipazione dell’altro giorno al panel Smantellare il Razzismo, al Meeting Internazionale Antirazzista di Cecina, scrivendo “sierraleonese con cittadinanza italiana”.

Chiaramente non per spiegare una doppia appartenenza, come se fosse qualcosa in più. No. Lo fa per sottolineare che io non sono italiana come lei. Che la mia italianità è un’aggiunta, una concessione, non un diritto.

Continua la Totolo dicendo che il nostro progetto (quello dei neri [nda] ) è quello di sottomettere (italiani? Bianchi?) e distruggere la loro cultura millenaria.

E allora sotto il post mi arrivano gli insulti – “tornatene da dove sei venuta” – sicuramente non inteso come “tornatene a Firenze”, dove sono nata. Un “altrove” costruito solo per negarmi il mio posto qui, per farmi sentire ospite, abusiva, di passaggio.

E dalla provenienza percepita arriva anche l’insulto “sono venuti qui perché altrimenti avrebbero passato la vita a camminare con i secchi in testa”, “buttatele in mare”, direttamente dal pianeta delle scimmie”, “torna in Africa”, “fuori le scimmie dall’Italia” e ancora “non dovete far inserire la vostra religione musulmana, tornatene in Africa” (io atea ma nata a Firenze e battezzata al Battistero di Firenze). “Basta ne+ri” (loro la G la mettono) e poi “gli italiani non votano più i sinsitri per quello cercano chi vota per loro – gay, trans, lesbiche, nani, islamici, marocchini , arabi.. “

per arrivare a “più robot e meno africani persone inutili e dannose all’ordine naturale” con passaggio dovuto al Piano Kalergi della sostituzione etnica,

fino a “dovremmo imparare a tirargli le banane”.

Ennesima dimostrazione di quanto ancora sia radicata, in Italia, una cultura razzista e fascista che non è mai stata davvero sconfitta. Una cultura che trova spazio anche nei giornali legati a CasaPound, che si autodefinisce correttamente fascista, ma senza che nessuno li metta di fronte alle proprie responsabilità.

L’abbiamo già incrociata Francesca Totolo e quelli come lei che fanno elogi alla Decima MAS, usano simboli e slogan del ventennio, teorie complottiste che alimentano odio, paura e tanta ignoranza. E tutto questo viene lasciato correre. Come se fosse normale. Come se fosse tollerabile.

Ma non è tollerabile.

CasaPound e tutto ciò che gli ruota intorno sono un problema politico, morale, civile, costituzionale.

“hanno cominciato il 25 aprile 1945: ditruggere la Patria e la memoria storica della nazione fu infatti il “radioso” 25 aprile – e non il tradimento dell’8 settembre” – scrive un altro esaltato nostalgico del nazifascismo – feccia insomma

E allora lo ribadiamo – CasaPound va sciolta. Ora.

Non possiamo più accettare che in un Paese nato dalla Resistenza, chi si richiama apertamente al fascismo abbia ancora agibilità politica e mediatica.

In foto un’italiana che gentilmente offre una banana a quellə che hanno imparato a tirargliela

Controverse. Scrivere in diaspora, poetiche del divenire

a cura di Livia Apa e Ubah Cristina Ali Farah

Un dialogo tra due generazioni di donne, autrici e voci in diaspora, che ancora troppo spesso si tende a etichettare come categoria “altra” nel vasto universo editoriale italiano. Ma se scrivere è di per sé un atto politico, la letteratura può diventare uno strumento per uscire dalle maglie oppressive di una visione bianco-centrica e raccontare un presente reale, in una direzione diversa dall’unica che viene considerata possibile. Le curatrici Livia Apa e Ubah Cristina Ali Farah hanno dialogato con nove autrici che si sono raccontate per ragionare collettivamente sui loro intrecci  linguistici e culturali, sulle relazioni complesse con il mondo editoriale, sui limiti delle categorie identitarie, sulle potenzialità dei nuovi social media, sul potere della letteratura, sulla possibilità di  delineare – grazie alla scrittura – nuove strade che sembravano impercorribili. Per raccontare la bellezza oltre la sofferenza e nell’opportunità dell’incontro, per tracciare insieme nuove poetiche del divenire.

Controverse è uno spazio di sperimentazione, un dialogo composito, fatto di aneddoti e narrazioni, sovversioni e riflessioni linguistiche, che approfondisce la diaspora nella scrittura e la scrittura in diaspora. Le voci che lo compongono sono quelle di Gabriella Ghermandi, Espérance Hakuzwimana, Wissal Houbabi, Djarah Kan, Gabriella Kuruvilla, Kaha Mohamed Aden, Stella N’Djoku, Igiaba Scego, Nadeesha Uyangoda.