La parola intersezionalità è un po’ difficile e forse non ne hai mai sentito parlare. Se è così, non ti preoccupare!Â
Questa parola è stata coniata nel 1989 da Kimberlé Crenshaw, una studiosa statunitense, e descrive i modi in cui i sistemi di disuguaglianza basati su genere, razza, etnia, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità , classe e altre forme di discriminazione si intersecano per creare dinamiche ed effetti unici. Un po’ complicato, vero?Â
Proviamo a fare un esempio: quando una donna musulmana che indossa l’hijab viene discriminata, non è possibile dissociare il suo essere donna* dalla sua identità musulmana e isolare le diverse dimensioni che si sovrappongono e che causano la sua discriminazione.
Le forme di disuguaglianza si stratificano e si rafforzano a vicenda e devono quindi essere analizzate e affrontate simultaneamente per impedire a una di rafforzare un’altra.
Facciamo un altro esempio: in quasi tutti i Paesi (sì, anche in Italia!) le donne che fanno lo stesso lavoro degli uomini guadagnano meno. Questa cosa ha un nome: gender pay gap. Pensare di poter analizzare e affrontare questo problema senza includere altre dimensioni di discriminazione – come la razza, lo stato socioeconomico e lo status di immigrazione – probabilmente rafforzerà le disparità tra donne che sono sì tutte donne, ma appartengono a classi economiche diverse, hanno un diverso colore della pelle o provenienza diversa.Â
L’intersezionalità ci aiuta a comprendere l’ingiustizia sistemica e la disuguaglianza sociale tentando di districare le linee che creano la complessa rete di oppressioni. La giustizia intersezionale è anche uno strumento pratico che può essere utilizzato per affrontare la discriminazione intersezionale attraverso politiche e leggi.
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