La lettera di Carlo Feltrinelli pubblicata su Repubblica il 5 giugno 2012
Diritto di cittadinanza per chi nasce in Italia
Non bisogna più esitare a legiferare sul tema dei diritti di cittadinanza per i figli dei migranti. È noto, ma assai poco ricordato, che la legislazione italiana rimane tra le più arretrate in Europa per quanto attiene la concessione della cittadinanza a chi nasce, studia e lavora nel nostro paese. La nostra legislazione è arretrata anche rispetto alla Costituzione degli Stati Uniti, dove è stabilito chiaramente che tutti coloro che vi sono nati ne sono cittadini. Da noi, invece, chi nasce da genitori stranieri può richiedere di diventare cittadino italiano solo una volta raggiunta la maggiore età, e solo dopo aver dimostrato di essere stato residente in modo regolare e ininterrotto nel territorio nazionale (e ha tempo solo un anno per farlo). Cittadinanza significa prima di tutto partecipazione, possibilità di concorrere – nei diritti e nei doveri – a una comunità di cui ci si sente parte. Le nostre seconde generazioni di migranti sono il fenomeno più evidente e palese dello scarto che ancora esiste tra un’integrazione di fatto e un’integrazione di diritto. Sono italiani in tutto e per tutto, tranne che per la nostra legge. Studiano nelle stesse scuole, giocano a calcio negli stessi campi sportivi, guardano gli stessi programmi televisivi, leggono gli stessi libri e coltivano le stesse aspirazioni dei loro compagni, eppure per la nostra legge non sono uguali a loro, non sono italiani. Non vedere l’assurdità di questo scarto vuol dire adottare la famosa “non politica delle porte sbattute in faccia” (Gad Lerner) e tutto ciò mal si concilia con qualunque istanza di modernità, di “uscita dalla crisi”, di costruzione di un nuovo modello di comunità ormai strutturalmente plurale. Il sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’ANCI, Graziano Delrio, e diciannove organizzazioni della società civile hanno promosso e sostenuto la campagna “L’Italia sono anch’io”, al fine di presentare due proposte di iniziativa popolare per la concessione della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri e per l’attribuzione del diritto di voto amministrativo ai residenti regolari da oltre cinque anni (alle ultime elezioni non ha potuto votare il 5,3% della popolazione residente). All’inizio di quest’anno sono state raccolte 200.000 firme, ben oltre le 50.000 necessarie per presentare le due proposte di iniziativa popolare, e lo scorso 6 marzo sono state depositate alla Camera dei deputati. Finora nessuna delle proposte presentate per modificare la legge 91/1992, che prevede lo ius sanguinis e vincola lo status giuridico dei figli alla cittadinanza dei genitori, ha avuto fortuna. Né quella dei deputati Andrea Sarubbi (Pd) e Fabio Granata (Fli) nel 2009, né quella del senatore del Pd Ignazio Marino nel 2011 sono diventate legge. Stesso destino è toccato alla proposta sul diritto di voto degli stranieri alle elezioni amministrative presentata su iniziativa dell’ANCI di alcuni Comuni, con capofila Genova. Adesso però le tante migliaia di cittadini che attraverso le firme hanno fortemente espresso il loro pensiero vorrebbero essere prese in considerazione, vorrebbero che fosse fissata una data in cui la Camera avvii la discussione, vorrebbero trovare nuovi e più convinti sostenitori tra le forze politiche, vorrebbero condividere l’urgenza di emendare una legge non più adatta al momento storico.
Il 25 maggio scorso si tenuto a Milano un incontro nel quale il sindaco Giuliano Pisapia si è impegnato a sostenere con forza, presso gli amministratori locali di altre città, le istanze delle due proposte di legge. Il comitato nazionale diL’Italia sono anch’io (di cui fa parte Il razzismo è una brutta storia, associazione promossa dagli stakeholders del gruppo Feltrinelli) ha poi promosso una conferenza che si terrà presso la Camera dei deputati mercoledì 6 giugno. Farà gli onori di casa il presidente Gianfranco Fini e sarebbe auspicabile un’ampia partecipazione bipartisan.
In una tempesta perfetta non è facile alzarsi a dire che cosa bisognerebbe fare. È più facile farlo: abbandonare cioè la combinazione di trivialità, incapacità e inumanità che ci ha accompagnati sin qui, e provarci.
Carlo Feltrinelli, editore e presidente di Il razzismo è una brutta storia
(La Repubblica, 5 giugno 2012)