Di Angelica Pesarini
Siamo tutti scimmie? Antirazzismo made in Italy
Il 10 giugno in Basilicata le forze dell’ordine hanno eseguito una serie di misure cautelari a carico di 60 persone e hanno sequestrato 14 aziende agricole accusate di associazione a delinquere finalizzata all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dopo un’indagine durata più di un anno, la Guardia di Finanza ha raccolto una serie di prove a testimonianza di una solida struttura criminale che tra Calabria e Basilicata, con la complicità di ‘caporali’, ‘subcaporali’, imprenditori agricoli e anche un dipendente comunale, sfruttava 200 braccianti e organizzava matrimoni di comodo finalizzati all’ottenimento di permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare dietro pagamento di cospicue somme di denaro.
Tra i fatti emersi, sono venute alla luce una serie di intercettazioni telefoniche relative a conversazioni avvenute tra caporali, in riferimento a lavoratori africani. Parlando, per esempio, di alcune lamentele da parte dei braccianti riguardo la mancanza d’acqua sul luogo di lavoro, è stata registrata la seguente conversazione:
“…Ascolta…non c’è un canale di acqua là vicino?”
“E no, c’è un bagno…c’è un bagno che…”
“No,…siccome mi ha telefonato R. (imprenditore agricolo) che ai ne*ri gli mancano un paio di bottiglie di acqua…nel canale, gliele riempiamo nel canale!…Se ci sono un paio di bottiglie vuote!…Hai visto quelle che trovi quando togli i cespugli? Vicino ai canali ci sono le bottiglie…”
L’assenza non prevista di braccianti, invece, dà luogo ad un dialogo in cui si usa il termine “scimmia” in riferimento a lavoratori africani:
“Ma ste c…o di scimmie dove sono?”
“ Ma non so venute ancora?“
“Là ci vogliono 20 scimmie”
Altro dialogo in cui ci si riferisce a persone africane con il termine scimmia:
“Domani mattina là ci vogliono le scimmie”
“E facciamo venire le scimmie e domani cerchiamo di venire.”
“Va bene, le scimmie, 20 persone: Non credo che piove ancora!”
“Le scimmie le mandiamo là. Restiamo 40 persone. Dai, dai!”
Vista la gravità della situazione, la Basilicata reagisce prontamente e dopo soli due giorni viene indetto un sit in organizzato dalle segreterie provinciali Cgil – Cisl – Uil, Flai Cgil, Fai Cisl, Uila Uil che avrà luogo proprio oggi, 12 giugno. In un comunicato stampa[1], tra le altre cose, si chiede alla Regione di prendere atto delle denunce avanzate dal sindacato confederale e dalle associazioni di categorie riguardo la situazione di migranti stagionali obbligati a vivere in alloggi di fortuna, e tramite la pubblicazione in tempi adeguati di bandi per la gestione dei centri di accoglienza, si chiede di garantire non solo livelli decenti di condizioni igienico sanitarie, ma anche di assicurare il trasporto dei braccianti dai centri ai campi in modo da evitare situazioni di caporalato.
Una simile mobilitazione, organizzata in tempi brevissimi, è senz’altro da apprezzare poiché dimostra la voglia della società civile di opporsi a logiche di razzismo e sfruttamento presenti sul territorio. Ciò che però lascia estremamente perplessi è il flyer creato per l’evento. Su un’immagine che ritrae un uomo nero sorreggere una cassetta in quella che sembra essere una torrida giornata di lavoro nei campi, appare evidenziato in rosso a caratteri bianchi uno slogan, lo slogan, scelto per racchiudere il messaggio di questa manifestazione antirazzista: SIAMO TUTTI SCIMMIE. L’immagine lascia senza parole, letteralmente. Nel senso che guardando uno ad uno quei caratteri non ci si può capacitare di come sia stato possibile creare un messaggio con connotazioni così profondamente razziste per sponsorizzare un evento che si prefigge di essere esattamente il contrario.
Siamo davvero tutti scimmie? Il termine viene usato dai caporali in riferimento a persone che lavorano in una tale situazione di precarietà e sfruttamento da non avere neppure diritto ad una bottiglia di acqua potabile, a essere visti come umani, sono “semplicemente scimmie”. E dunque, come possono una serie di Sindacati apporre la propria firma ad uno slogan simile che assegna a tutti “scimmie” senza riflettere sul fatto che un cittadino italiano bianco mai verrà chiamato scimmia o messo a lavorare, vivere e morire[2] nelle condizioni in cui si trovano centinaia di braccianti africani, in virtù di un diritto alla cittadinanza acquisito fin dalla nascita e a secoli di appropriazione e accumulazione bianca.
Se come afferma Cheryl Harris la bianchezza può essere considerata non solo una risorsa ma anche una proprietà, la legge, a sua volta, l’ha storicamente trattata e difesa come un diritto, garantendo ai suoi possessori un grado di mobilita, comodità e sicurezza maggiori rispetto a chi ne fosse sprovvisto.
Questa però non è la prima volta che in Italia si mantiene l’associazione con le scimmie per parlare di antirazzismo. Uno slogan simile fu usato nel 2019 da Simone Fugazzotto, pittore bianco che di razzismo, chiaramente, non ne sapeva nulla ma di scimmie moltissimo poiché la sua intera produzione artistica consiste nel ritrarre primati nelle situazioni più disparate. Dato questo suo talento nel raffigurare scimmie, cosi come babbuini e scimpanzè, ed una grande passione per il calcio, la Lega di serie A lo sceglie per illustrane la propria campagna antirazzista. Nel dicembre 2019 un’ennesima partita del campionato italiano fa notizia a causa del razzismo. Durante il match Inter-Napoli il difensore senegalese del Napoli, Kalidou Koulibaly, viene insultato ripetutamente con cori razzisti e versi della scimmia. E proprio in risposta agli epiteti razzisti basati sul verso della scimmia usato contro giocatori neri Fugazzotto cosa fa? Sembra uno scherzo ma non lo è. Compone un trittico di scimmie fenotipizzate per rilanciare un messaggio di uguaglianza e fratellanza, come afferma candidamente:
“Ho dipinto tre scimmie con caratteristiche diverse, una ha gli occhi azzurri, una a mandorla e così via. Proprio perché voglio dire che siamo tutti uguali, siamo tutti scimmie, siamo tutti uomini e donne. Il senso del quadro è: caro tifoso razzista, sei così ignorante da prendere in giro un calciatore per il colore della pelle? Eccoti qua, sei una scimmia anche tu, come lo sono io e come lo siamo tutti….”[3]
Le immagini del trittico fanno il giro del mondo creando sconcerto e critiche pesantissime come quelle di Michael Yormark, responsabile dell’agenzia che cura gli interessi di Romelu Lukaku che dichiara:
“Ogni volta che la Serie A se ne esce con qualcosa che riguarda il razzismo e la loro strategia per combatterlo, peggiora la situazione… Quelle immagini sono insensibili, imbarazzanti non solo per la lega ma per i club in tutta Italia. Non riesco a comprendere. E’ solo un’ulteriore indicazione della loro incapacità di capire il problema. Non hanno la minima idea di cosa fare in relazione al tema del razzismo nel calcio.”[4]
Neanche il povero Fugazzotto riesce a capirci più nulla tanto che si chiede, tra un’intervista e l’altra, cosa possa aver provocato tali reazioni. Il pensiero alla base della sua opera è molto chiaro, come cerca di spiegare:
“Perché non smettere di censurare la parola scimmia nel calcio, ma rigirare il concetto e affermare invece che alla fine siamo tutti scimmie? Perché se siamo essere umani, scimmie, anime reincarnate, energia o alieni chissenefrega, l’importante è sentire un concetto di eguaglianza e fratellanza”
Quindi, dov’è il problema? Dove si cela il razzismo in un messaggio, che sia un trittico di scimmie o la locandina di un evento antirazzista, che invoca, chiaramente, all’uguaglianza tra gli esseri umani? Bianchi, neri, gialli, non siamo alla fine tutti scimmie? La risposta è no. Decisamente no. Non siamo tutti scimmie e non siamo tutti uguali.
Partiamo dalla confutazione più semplice, quella relativa al falso mito della nostra presunta discendenza dalla scimmia. Gli esseri umani, come sappiamo, sono Mammiferi e Primati. La famiglia dei Primati si divide in una serie di ordini e sub-ordini in cui, a parte noi, si collocano animali quali il gibbone, l’orango, lo scimpanzé e altri. Quindi non discendiamo dai Primati perché già apparteniamo a quella famiglia e non possiamo neanche discendere da un animale che ci è contemporaneo. Nonostante l’uomo e la moderna scimmia antropomorfa condividano una grande porzione di corredo genetico (tra l’uomo e lo scimpanzé per esempio, c’è una somiglianza delle sequenze nucleotidiche pari al 98%) si è poi verificata una divergenza evolutiva. Ciò significa che partendo da un antenato comune oggi estinto, gli Ominidi, le nostre rispettive linee evolutive si sono separate producendo due specie distinte. Quindi non discendiamo dalle scimmie e non siamo tutti uguali.
Nonostante la tentazione di voler credere nell’uguaglianza tra gli esseri umani e di affermare che siamo tutti uguali, che i colori non esistono ma esistono solo le persone, quest’affermazione nasconde, in realtà, un grande privilegio: il privilegio dell’invisibilità in cui possono rifugiarsi le persone non razzializzate, ovvero coloro che rientrano nella cosiddetta “norma somatica”[5] e che possono permettersi di non fare caso al colore poiché il loro colore, il bianco, riflette la norma e non ha impatto sulle loro vite. Se le persone bianche sono semplicemente “persone” e non hanno un colore, tutte le altre invece vengono definite e categorizzate proprio in base a quello. Ciò si riflette anche nel linguaggio. Un esempio, a tal proposito, riguarda l’odiosa espressione in italiano “persona di colore”[6] che in molti, erroneamente, credono sia politically correct senza notarne le implicite connotazioni discriminatorie (c’è chi ha, o meglio è un colore e chi no). Inoltre, affermare che si è tutti uguali e che non si vedono i colori riproduce, paradossalmente, logiche di privilegio bianco, favorisce la perpetuazione del razzismo sistemico e rafforza discriminazioni basate sulla linea del colore.
All’epoca della campagna antirazzista, Fugazzotto si chiedeva come mai il suo associare delle scimmie agli esseri umani in una campagna contro il razzismo anti-nero, fosse stata criticata in maniera così aspra dato che da anni ritrae scimmie in situazioni di fantasia. Il problema, infatti, non è disegnare scimmie ma l’associare primati a persone nere (come in una delle sue tre immagini). Questa non è una comparazione neutra: racchiude una storia che trova la propria genesi nel razzismo scientifico europeo, una storia che molti, tra cui Fugazzotto cosi come gli ideatori del flyer in questione, ignorano totalmente.
L’invasione (non la “scoperta”) delle Americhe e dei Caraibi alla fine del 1400, pone gli esploratori europei di fronte ad una diversità fisica, linguistica, culturale, religiosa inaspettata che mette in crisi il concetto di identità. Come si può riconoscere l’Altro al pari di sé, se a costui si vogliono sottrarre risorse e si vuole trarre profitto economico dallo sfruttamento della sua forza lavoro? Ecco allora il nascere di una serie di teorie pseudo- scientifiche il cui intento è quello di classificare gli esseri umani in base sistemi gerarchici usando la reificazione dell’idea di razza in modo da assegnare ad ogni gruppo determinate qualità fisiche e morali. Se la fittizia “razza bianca” viene posta al vertice della piramide umana e le vengono attribuite virtù e pregi di ogni tipo, gli altri gruppi non godono dello stesso privilegio e, anzi, più si ci si allontana dal bianco maggiori diventano i difetti e le deformazioni. Ed è qui che i primati entrano in gioco.
Per poter giustificare l’inferiorità dei popoli colonizzati e conseguenti sistemi di schiavitù e oppressione, le teorie evolutive sviluppatesi tra il 1600 e 1900, intravedono negli africani una grande somiglianza con le scimmie ed una certa distanza, biologica e culturale, “razza bianca” tanto che in alcune teorie gli africani vengono identificati come l’anello di congiunzione tra i primati e i bianchi: qualcosa a metà tra l’uomo e la bestia. E sono proprio alcune figure del nostro sapere, come Voltaire, per esempio, che si chiedevano se queste creature, a metà tra scimmie e uomini si sarebbero mai evolute:
“E’ una questione seria quella di considerare se gli africani siano discesi dalle scimmie o se piuttosto siano le scimmie invece a provenire da loro. I nostri saggi hanno detto che l’uomo è stato creato secondo l’immagine di Dio. Ora ecco che vediamo proprio una bella immagine del Creatore Divino: un naso piatto e nero con poca o quasi nessuna intelligenza. Verrà senza dubbio un tempo in cui questi animali sapranno coltivare bene la terra, abbellire le loro case e giardini e conoscere i sentieri delle stelle: bisogna soltanto concedergli il tempo necessario per poter ottenere tutto questo”[7]
Vorrei ritornare però ad oggi, 12 giugno 2020 e alla manifestazione antirazzista di Matera: SIAMO TUTTI SCIMMIE poiché sembra necessario porsi alcune domande. Come si può utilizzare il medesimo insulto deumanizzante e razzista, storicamente collocato, usato da caporali in riferimento a lavoratori africani, per costruire uno slogan antirazzista che vuole protestare contro l’uso di quello stesso epiteto razzista? Come si può pensare di normalizzare o riutilizzare un linguaggio razzista, per combattere il razzismo? Come si può assegnare ad un artista bianco, che non potrà mai capire cosa sia il razzismo, la gestione visiva di una campagna contro il razzismo anti-nero quando sono presenti sul territorio, a livello nazionale, una quantità di eccezionali artiste ed artisti neri? Come si può considerare il dipingersi la faccia di nero una dimostrazione di solidarietà verso il compagno di squadra insultato, senza nemmeno capire il razzismo caricaturale di quell’atto e la storia che vi è dietro?[8]
Questo è il paradosso dell’antirazzismo made in Italy: si performa senza nominare la razza, se ne parla senza ascoltare le voci delle persone razzializzate, se ne decidono le modalità di espressione senza essersi documentati e ci si offende se viene messa in rilievo la nocività di certe “buone” intenzioni. E allora, invece di puntare a traguardi di uguaglianza e universalismo in cui antirazzismo significa ricoprire il ruolo del soccorritore – o della soccorritrice bianca – che “aiuta”, “tende la mano” o “sorregge sulle proprio spalle” il soggetto razzializzato, pensiamo invece a come antirazzismo significhi, tra le altre cose, fare lavoro di autocritica e di ascolto, studiare i crimini del passato coloniale, cercare di diversificare le proprie fonti di conoscenza al di là del sapere maschile bianco ed eurocentrico, pensare all’uso delle parole che adoperiamo, creare consapevolezza dei propri privilegi all’interno del proprio gruppo. E allora, forse, saremo in grado di capire che non siamo tutti scimmie e non siamo tutti uguali.
FONTI
[1] https://www.emmenews.com/manifestazione-caporalato-venerdi-12-giugno-matera/
[2]https://bari.repubblica.it/cronaca/2020/06/12/news/foggia_migrante_muore_carbonizzato_nell_incendio_di_un_ghetto-258996471/?fbclid=IwAR3Qr1Za-rRqDdXHiMiHxTaqYXxa0GCP5MgOA_qVVF8Cyl8pzQvVrefZx5o
[3] https://www.corriere.it/cronache/19_dicembre_17/artista-quadro-le-scimmie-contro-razzismo-inno-tolleranza-siamo-tutti-uguali-a44d2a90-20ba-11ea-ad99-8e4d121df86f.shtml
[4] https://www.corriere.it/sport/19_dicembre_17/quadro-le-scimmie-contro-razzismo-campagna-lega-a-indigna-roma-social-manager-adda5424-20a7-11ea-ad99-8e4d121df86f.shtml
[5] Si veda il lavoro di Nirmal Puwar
[6] Molto diversa dall’espressione inglese “person of colour” che indica invece tutte le persone razzializzate che non sono nere come persone asiatiche, indigene, latine ecc.
[7] Voltaire Les Lettres d’Amabed (1769), Septième Lettre d’Amabed
[8] https://www.repubblica.it/online/campionato/truccati/truccati/truccati.html
L’AUTRICE
Associated Expert di Razzismo Brutta Storia, Angelica Pesarini è docente in Sociologia alla New York University di Firenze dove insegna “Black Italia”, un corso dedicato alla all’analisi delle intersezioni di razza, genere e cittadinanza in Italia. Angelica ha conseguito un Ph.d. in Sociologia e Studi di Genere in Inghilterra e ha lavorato come docente di Genere, Razza e Sessualità all’università di Lancaster prima di riapprodare in Italia nel 2017. Il suo lavoro di ricerca riguarda le negoziazioni di genere, razza e identità nell’Italia coloniale e postcoloniale. In precedenza Angelica ha indagato le relazioni tra identità di genere e attività economiche presso alcune comunità Rom residenti a Roma, ed ha analizzato strategie di rischio, sopravvivenza e opportunità nel contesto della prostituzione minorile maschile, a Roma. Angelica ha pubblicato diversi saggi e articoli accademici e sta attualmente scrivendo la monografia della sua ricerca di dottorato.