Le tragedie dei migranti e noi razzisti mascherati
Gad Lerner – 20 giugno 2023
I migranti, diciamocelo, hanno stufato.
Devono crepare a centinaia per volta, come la settimana scorsa nel mare di Pylos, per meritarsi un titolo in prima pagina.
Ci sarebbero le fotografie scattate dall’aereo di Frontex e i filmati delle navi vicine a quel peschereccio di 35 metri con ammassate a bordo 750 persone in preda al panico che levavano le braccia chiedendo disperatamente aiuto. Dimostrano che l’allarme era stato lanciato molte ore prima della tragedia, c’era tutto il tempo di salvarli. Solo le telecamere della Guardia costiera greca, chissà perché, non hanno registrato immagini.
Guardiamoci allo specchio. Questo nostro innegabile disinteresse per la sorte dei migranti asiatici e africani è un fatto storico, gravido di conseguenze sui futuri assetti d’Europa. Forse verrà ricordato come il più rilevante successo conseguito dalle destre europee.
Ormai la solidarietà e la misericordia per le vittime sono relegate quasi solo in ambito religioso: “Morire di speranza” s’intitola la veglia di preghiera convocata dalla Comunità di Sant’Egidio per giovedì nella basilica romana di Santa Maria in Trastevere, con la partecipazione del presidente della Cei, cardinale Zuppi, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato.
Dieci anni fa, il 3 ottobre 2013, reagimmo ben diversamente al naufragio di Lampedusa in cui persero la vita all’incirca la metà delle vittime di Pylos.
L’emozione, la pietà popolare erano generalizzate. Ricordiamo il presidente della Commissione europea e il premier italiano inginocchiati davanti alle bare. Giorgia Meloni ha potuto tranquillamente permettersi di non replicare quel gesto di fronte alle vittime del naufragio di Cutro riunite nel Palasport di Crotone. Non ci è andata proprio, e pochi glielo hanno rimproverato.
Ieri ilfattoquotidiano.it ha pubblicato una ricerca sui social di Meloni e Salvini rilevandovi la quasi scomparsa dell’hashtag #BastaSbarchi che fu il loro cavallo di battaglia quand’erano all’opposizione.
Una cautela che è facile mettere in relazione col fallimento della loro promessa di stoppare l’immigrazione irregolare. Gli sbarchi sono aumentati del 158% rispetto all’anno scorso e a questo ritmo si potrebbe superare il record di 181.436 arrivi via mare stabilito nel 2016. Dalla Tunisia ne arrivano sette volte più di prima. Il generale Haftar, padrone della Cirenaica libica, ha inaugurato da Tobruk una rotta marittima che elude i respingimenti della guardia costiera di Tripoli. Solo degli sbruffoni come i telepredicatori della destra italiana potevano credere che l’entità dei flussi migratori fosse condizionabile dalla faccia più o meno cattiva dei governanti.
Dunque hanno fatto fiasco rispetto alle loro promesse elettorali, mentre l’Unione europea annaspa e si divide. C’è poco da compiacersene perché il principale risultato acquisito, quello a cui le destre tenevano di più, è proprio questa nostra mutata percezione del fenomeno migratorio: il trionfo dell’indifferenza. Quasi che avessimo vissuto una mutazione antropologica nel corso del decennio che ha visto assuefazione e desensibilizzazione fare passi da gigante, favorite prima dal terrorismo islamico, poi dalla pandemia e infine dalla guerra in Ucraina.
Il risultato, se non abbiamo paura a usare le parole necessarie, è un ritorno di massa del razzismo, per quanto inconsapevole.
Non saprei definire altrimenti la facilità con cui abbiamo accolto milioni di profughi ucraini intanto che le proviamo tutte per rendere pressoché impossibile la migrazione asiatica e africana verso l’Europa. Certo, non facciamo più ricorso a imbarazzanti teorie razziali pseudoscientifiche per giustificare la distinzione che operiamo fra umani bianchi e umani scuri.
Preferiamo raccontarci che i trecento pachistani morti sul peschereccio di Pylos fossero privi dei requisiti necessari ad accoglierli fra noi. O che gli ivoriani e i guineani che sbarcano a Lampedusa dalla Tunisia debbano esservi rispediti anche se il presidente Saied ha scatenato una campagna xenofoba contro di loro. Non gli riconosciamo il diritto di fuggire da condizioni di vita che a noi risulterebbero insopportabili. La verità è che siamo in cerca di pretesti per autoassolverci quando muoiono o quando vorremmo respingerli (se non costasse troppo) senza più doverli definire esseri inferiori. Razzismo mascherato, appunto.
Smettendo di essere la patria dei diritti umani e dei principi di uguaglianza senza distinzione di razza, l’Europa vive una transizione che renderà sempre più probabili nuove guerre ai suoi confini e al suo interno. Dieci anni fa i nostri governanti, pur nella diversità dei loro orientamenti, concordavano almeno sulla priorità assoluta dei salvataggi in mare. Oggi Cutro e Pylos ci dicono che l’omesso soccorso è la linea guida cui attenersi, nella vana speranza di disincentivare le partenze. Non è differenza da poco.
*Illustrazione: Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope (MH), il programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
*Commento del 20 giugno di Gad Lerner pubblicato su Il Fatto Quotidiano e Officina dei Saperi.