Piccolo Teatro di Milano: prove generali per un teatro per tutt3?
Intervista a Marta Cuscunà a cura di Razzismo Brutta Storia
“Ma questo teatro non ci sembra così tanto “Piccolo”!
Quest’estate il Piccolo Teatro di Milano ha proposto un palinsesto che parlava di rappresentazione, cittadinanza, diritti, linguaggio, con tra le e gli altri Igiaba Scego, Adama Sanneh, Djarah Kan, Esperance Hakuzwimana Ripanti, Addes Tesfamariam, Ndack Mbaye e Wissal Houbabi e Razzismo Brutta Storia, con il workshop per bambin Amo i miei capelli! – letture e pupazzi per bambin3 ribelli curato da Rahel Sereke, Benedicta Djumpah e Le Pupazzare.
Molti sono stati per noi i momenti di meraviglia, durante il laboratorio e durante le serate.
Dalla Guida del Piccolo che spiegava alle bambine e bambini provenienti dai quartieri di San Siro e Bruzzano che “questo Teatro è di tutti, quindi anche vostro”, alla magia dei capelli ribelli e dei burattini.
Dalle riflessioni di Scego, Sanneh, Hakuzwimana e Kan su come decolonizzare le istituzioni culturali, “decanonizzare” l’immaginario e lavorare sui pubblici, alla potenza di Rosanna Sparapano, attrice afrodiscendente diplomata alla scuola del Piccolo che ha dato voce e corpo ai testi di Laeticia Ouedraogo e Esperance Hakuzwimana e Djarah Kan, e di Tesfamariam, Mbaye e Houbabi nel reading IT.ALIENE.
Proposte decoloniali, apertura e condivisione dello spazio: una sorta di prova generale per qualcosa di nuovo?
Ci è venuta voglia di capire meglio la genesi di tutto ciò con una delle co-curatrici, Marta Cuscunà, che ha messo in piedi la rassegna insieme a Marco D’Agostin e Compagnia Lacasadargilla.
Come è nata l’idea di questa rassegna?
“L’idea è nata da un invito di Claudio Longhi: ci ha dato la possibilità, in assoluta libertà, di realizzare una rassegna per accogliere nel chiostro del Piccolo un pubblico che sapevamo sarebbe stato diverso, inusuale.
Con Marco D’Agostin e Compagnia Lacasadargilla abbiamo deciso di adottare tre prospettive. La prima, sostenere lo sguardo, costruita come percorso collettivo per riflettere sullo sguardo che abbiamo specialmente nei riguardi della produzione artistica e performativa: per decostruire questo sguardo, per dare voce a punti di vista che di solito non trovano accesso nelle istituzioni culturali. La seconda, alleanze multispecie, trattava di ecofemminismo ed era ispirata ai “mondeggiamenti”, concetto espresso in Staying with the Trouble di Donna Haraway, che sono dei sistemi modello per guidare l’azione collettiva in simbiosi con le altre specie. La terza invece, endling e altre cose perdute, si è occupata di esplorare il tema della “fine” nel suo senso più ampio, trattando i temi dell’estinzione delle specie, delle società, ma anche della memoria, del tempo e delle relazioni.
È stato complesso mettere in piedi la rassegna come ve la eravate immaginata?
Sicuramente è stata una scelta rischiosa, perché l’abbiamo ideata quando i teatri erano ancora chiusi, con la più totale incertezza sulle condizioni future per eventi e laboratori.
Il Piccolo ha accettato proposte che non si limitavano ad essere frontali, ma che prevedevano interazione pratica tra ospiti, relatori, pubblico, e laboratori in cui si dovevano utilizzare anche le mani, toccare e scambiarsi oggetti… In genere, per il pubblico in età infantile, il piccolo fa proposte diverse: questa invece era molto inconsueta, e difficile specialmente quando non ci sono ancora regole chiare su cosa è permesso dalle norme COVID.
Longhi ha deciso di marcare il suo arrivo con un doppio azzardo: ha affidato la curatela della rassegna non a curatori o direttori artistici, bensì a figure attoriali-autoriali, che non avevano mai calcato le scene del Piccolo, ma che erano state in precedenza entusiasti spettatori.
Quali sono le tue impressioni su com’è andata la rassegna e su cosa resta di questa esperienza al Piccolo?
Non avevamo idea della reazione del pubblico: le dedicate a Future e quella di Rosi Braidotti sono andate sold out e le altre erano quasi piene. I feedback sono stati molto positivi e l’interesse è stato grandissimo – io sono di parte, quindi il parere andrebbe chiesto a spettatori e spettatrici.
È la prima volta che lavoro al Piccolo e la mia collaborazione si è sviluppata su un tempo molto ristretto, ma posso dirti che la mia percezione è stata che in ogni evento le persone invitate a parlare siano riuscite ad attirare persone molto interessate ai temi proposti.
Era evidente che si è mosso un mondo queer e transfemminista che era venuto, ad esempio, alla serata con Rosi Braidotti; era altrettanto evidente che alla terza serata dedicata a Future, chi è venuto aveva trovato una proposta che li spingesse a partecipare. Pensando anche alle bambine e ai bambini che hanno partecipato al workshop Amo i miei capelli! e che avete saputo coinvolgere voi, non era un pubblico che rientrava tra le fila degli spettatori del Piccolo.
Dal mio punto di vista – e spero sia ciò che è emerso delle serate – noi curatori abbiamo deciso di metterci in gioco in un percorso di formazione: abbiamo fatto proposte su cose di cui non eravamo noi gli esperti, senza saperne il risultato, su argomenti sui quali volevamo avere momenti di confronto apprendimento. Abbiamo fatto tante domande, ci siamo messi in discussione e soprattutto abbiamo provato a farlo al Piccolo, cercando di capire se può essere una nuova casa per questo tipo di momenti collettivi.
La prova ci è piaciuta, ci aspettiamo cose belle per l’anno artistico che verrà!